HMS AUDACIOUS IRELAND – the lost linear
Quando arrivo al punto di imbarco la baia è punteggiata da piccoli natanti alla fonda e da qualche mezzo relitto semi affondato e dimenticato dal suo legittimo proprietario. L’odore delle alghe è forte, il sentore dell’oceano che si incunea nel fiordo è quasi salmastro. Il vento soffia debole, inusuale a queste latitudini.
Piove da ieri notte in modo continuo. A tratti la pioggia è fine e costante, in altri momenti è più grossa e rumorosa. Inizio a scaricare le attrezzature dal Wreck Van. Un pontile in ferro, viscido e sgangherato, lungo circa una dozzina di metri, conduce al molo flottante dove è ormeggiata la nostra barca. Una volta a bordo, inizia l’accurato briefing rivolto al montacarichi subacqueo con cui verremo letteralmente issati a bordo una volta terminata la decompressione. Due ore più tardi finalmente si parte, lasciamo gli ormeggi. L’attesa è stata lunga, ma sarebbe stato inutile uscire prima dalla baia dato che le immersioni sono determinate dalle tabelle di marea e di corrente. L’arrivo sul sito di immersione del relitto HMS Audacious è previsto per le ore 13.45. Dista circa 16 miglia dalla costa in direzione Nord.
L’acqua è nera guardando dall’alto verso il basso. La boa segna corrente indica 0,6 nodi, a quanto mi dice lo skipper. Il plancton presente in grandi banchi crea degli strati così densi da non far penetrare la luce al di sotto di una certa quota.
Il suono del corno è il segnale che il comandante ci dà per buttarci in acqua e raggiungere la linea di discesa. Un attimo di pausa e giù. A -36 m parte la diagonale che conduce alla stazione deco. Qui ciascuno di noi lascia il proprio “tag”, ovvero il cartellino con il proprio nome che riprenderà al ritorno. È un buon sistema di verifica e sicurezza simile al cookie che si lascia all’inizio di un’immersione in grotta. In questo caso il significato è monitorare che nessuno resti sul fondo, dato che le correnti quando montano lo fanno per davvero e lasciano ben poco margine di azione.
Il fondale dell’oceano sembra quello di un grande fiume. Poca sabbia, niente fango, tanti piccoli e sassi di medie dimensioni, quasi sferici e levigati dalla corrente. La visibilità è buona, molto buona, almeno a 12 m.
Quel che vedo di fronte a me è la torretta da cui spunta il grande cannone binato da 343 mm dell’HMS Audacious. Le bocche di fuoco che compaiono sotto la torretta sono impressionanti e le due barbette laterali appaiono fortemente iconiche. Caroselli di merluzzi vi girano sopra. Le lamiere frastagliate del centro nave, disintegrata all’impatto con la mina il 27 ottobre 1914, oggi sono tane di molteplici gronghi e astici. La corazzata, appartenente alla classe di navi da battaglia britanniche “King George V”, in forza alla Royal Navy, è stata varata nel 1912 presso i cantieri navali di Cammell Laird, a Birkenhead, e aveva un equipaggio pari a 860 uomini.
Il giorno dell’affondamento, verso le 20.45, l’HMS Audacious si inclinò di colpo su un lato, imbarcando acqua velocemente, infine si capovolse con la prua che garriva al cielo. 15 minuti più tardi il repentino e vigoroso spostamento di parte del carico dei proiettili all’interno provocò un forte boato esplosivo. La violenza fu tale che i frammenti schizzarono impazziti in tutte le direzioni. Uno di questi colpì a notevole distanza un sottufficiale della nave Liverpool che era giunta in soccorso dei naufraghi. La scheggia causò l’unica vittima di questo tragico affondamento.
Perlustrando il fondale, oggi è possibile scorgere ancora gli armamenti sconquassati sparsi qua e là. Il relitto è sfasciato nella parte del centro nave e della prua: si tratta di compiere un lavoro quasi archeologico durante l’immersione. Pezzi, lamiere, siluri, enormi proiettili a volte luccicanti nel loro profilo color bronzo emergono dal groviglio affascinante di ferro che giace sul fondo. Gli scorci sono tanti. Gli occhi avidi si spostano frettolosamente nella costante sensazione di non poter cogliere tutto quello che vorrei. Eppure questa corrente, che spinge continuamente da Nord-Ovest, non aiuta. Mi allontana dal relitto. Ogni tanto mi riparo dietro qualche lamiera più alta per avere un attimo di tregua.
Dopo 35 minuti mi sembra di essere qui da almeno il doppio del tempo. Lo sforzo fisico si sente, il relitto mi affatica, complice anche l’atto di filmare. Gli ultimi minuti li passo a cercare elementi e scorci diversi. Ripasso sull’armamento principale, poi, alla mia destra, trovo un cannoncino di calibro inferiore, uno dei sedici da 102 mm che solitario era alloggiato dentro una casamatta sul ponte di coperta. È fantastico. Integro. Un lampo di felicità che arriva allo scadere del quarantesimo minuto.
Quando stacco dal fondo la profondità media è di -57 m, la massima è stata di -63 m, di fronte alle due bocche di fuoco dove non ho voluto inginocchiarmi per riprendere fermo immobile il relitto.
di Andrea Alpini