L’ultimo volo dell’FW58C
Alpi della Savoia, Francia, 30 marzo del 1944. Probabilmente per un errore di valutazione del pilota l’aereo da guerra tedesco colpisce la superficie dell’acqua e si inabissa. Ora giace nel buio dei 110 metri, in un ambiente di grande suggestione di Andrea “Murdock” Alpini
Il 1935 non è soltanto l’anno di messa in produzione del velivolo bellico FW58, ma è anche l’anno in cui in Italia vede la luce il libro manifesto del movimento aereo futurista: L’Aeropoema del Golfo della Spezia”, a firma di F. T. Marinetti. Il poeta a bordo di un velivolo biposto motorizzato Caproni, in compagnia dell’amico e pilota Angelo Castoldi, entra sopra Lerici “negli onnipotenti settecento chilometri all’ora… per poi voluttuosamente risalire a spirale impregnando di mesta fantasia le sublimi quote sonore degli idrovolanti”.
Le stesse sensazioni, tra un tourbillon e l’altro, devono averle provate i quattro giovani avieri tedeschi quel martedì mattina del 30 marzo 1944, sul finire dell’inverno.
Il bimotore FW58C, versione dotata di radar per la navigazione notturna, decolla dall’aeroporto di Lyon-Bron con a bordo quattro giovani piloti della Luftwaffe in addestramento avanzato. L’aereo era stato costruito qualche anno prima, quando a partire dal 1938 fu messo in produzione presso l’azienda Bremer Flugzeugbau AG, fondata nel 1923 da Henrich Focke e Georg Wulf con il supporto di Werner Nauman, a Brema.
L’FW58C era una versione avanzata del precedente modello, aveva dimensioni alari pari a 21 metri, mentre la carlinga misurava 14 metri di lunghezza per un’altezza massima alla sommità di coda di 4,21 metri. Pesava 2400 chili, aveva un raggio d’azione di ottocento chilometri e poteva raggiungere la velocità massima di 280km/h. Il velivolo era sospinto da una doppia motorizzazione a otto cilindri a V rovesciata di novanta gradi della potenza cadauno di 260 cavalli, che terminava con eliche bipale in legno.
La richiesta di sviluppare un simile aereo di addestramento fu esplicitamente avanzata negli anni che precedettero lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale dal Reichsluftfahrtministerium, che voleva equipaggiare l’aviazione tedesca. Venne denominato “Arma dell’Aria”, un velivolo in grado di formare avieri realmente offensivi in battaglia.
A capo della Luftwaffe, durante il Terzo Reich, vi fu l’ex asso dell’aria, nonché spietato stratega, Hermann Göring. L’alto ufficiale in comando portava ricamate sulle bianche uniformi i segni della sua Divisione: la coccarda alare “croce nera bordata” posta anche sulla fusoliera dell’FW58C, la svastica, che trovava posto sulla coda e, infine, il fregio da elmetto, l’aquila rampante.
Sono passati quaranta minuti dal decollo e il velivolo sta sorvolando le Alpi della Savoia quando, alle 13.15, la caratteristica ala di gabbiano rovesciata dell’FW58C si abbassa troppo sulla superficie del lago di Bourget. Forse un errore di manovra, forse un’esercitazione spinta oltre il limite ha causato l’impatto del velivolo con l’acqua, la cui densità, a quella velocità, è superiore a quella del calcestruzzo armato. Dei quattro avieri a bordo, due morirono sul colpo, mentre gli altri due, in avanzato stato di ipotermia a causa della temperatura dell’acqua attorno ai quattro gradi, vengono salvati dai pescatori locali di Conjux. La carlinga numero 3652, immatricolata TD+QE, si inabissa velocemente per adagiarsi sul fondo a 110 metri. Ed è da qui che inizia il racconto della nostra esplrazione.
Tra indice e pollice della mano sinistra scorre la cima di discesa che, a 40 metri, devia per divenire ancora più verticale. Il buio avvolge tutto.
L’acqua è nera come la svastica che sul piano di coda appare intorno ai 98 metri.
Mi giro di scatto a sinistra, è lì. L’FW58C è conficcato nel fondale a 110 metri. Il timone è denso di storia, così come le scritte teutoniche, ancora perfettamente definite, apposte sul rivestimento ceruleo della carlinga.
L’impatto che si ha con il velivolo lascia stupiti. Ci si sente impotenti davanti alla storia. Non è soltanto un aereo, o una macchina bellica: rappresenta il Novecento nella sua nera teatralità di secolo breve.
Scendo piano, come un ospite inatteso. I respiri cadenzati mi fanno ondeggiare fino a raggiungere il fondale. Quando mi avvicino alla cabina di pilotaggio, resto colpito dallo spazio angusto entro cui stavano i due piloti.
Aspetto, osservo, taccio. Il pensiero è fermo. L’immobilita delle cloche e dei comandi, l’antenna e il radar poco sopra.
Dietro vi è un’altra parte dell’abitacolo entro cui stavano gli altri due membri dell’equipaggio.
I dettagli compongono uno sguardo d’insieme davvero suggestivo, soprattutto nel momento in cui si staccano gli occhi dal particolare e si alzano le pupille verso l’alto.
Il carrello è in parte contenuto e in parte giace insabbiato nel limo del terreno. Mi sposto prima sull’ala destra, dove scorgo l’altra effige del Reich, la croce nera che pallida appare sulla bombatura dell’ala. Qua e là brandelli di rivestimento fluttuano liberi, sotto compaiono i profili alveolari che costituivano la struttura leggera del velivolo. È una raffinata ingegneria.
Si possono ancora apprezzare le modanture impresse ai profili d’acciaio forgiati a Brema quasi ottant’anni fa.
Lascio che l’ala scorra alle mie spalle per raggiungerne l’estremità. Mi metto in asse e riesco ad apprezzarne a pieno la sezione ovoidale. Sembra una goccia di rugiada, una lacrima.
Svolto. Proseguo lungo il profilo delle ali di gabbiano rovesciate per ritrovarmi all’estremità sinistra del bimotore. Guadagno qualche metro di quota e raggiungo i 105. D’ora in avanti risalgo la china fronteggiando il traliccio nudo della carlinga. Il rivestimento è scomparso.
La coda con la sua deriva è l’ultima immagine che raccolgo prima di staccarmi dal relitto. Sono trascorsi venti minuti. Abbasso i fari, lascio che L’FW58C scompaia lentamente nella coltre buia del suo lago adottivo mentre respiro dopo respiro i metri diminuiscono sopra la testa finché non vedo più l’aereo.
Penso alla superficie che ha tradito il giovane equipaggio della Luftwaffe; sono attraversato da sensazioni contrastanti. Che l’acqua abbagliata dal sole sia stata lo specchio della loro morte come per Narciso? Qui tutto è sospeso alle prime ore del pomeriggio del 30 marzo 1944.
Intanto che risalgo mi tornano in mente le parole Marinett,i che concludeva il suo aeropoema così: “Lassù lassù dove si sentono sulle guance le seriche dolci guance di Dio ogni cacciatore angelo irto di tizzoni veloci sentendosi ad un tratto attaccato alle spalle spia nel sua diabolico specchio / Tempismo / Nessuno degnò calcolare il sole e il suo straziante dolore umano in quella eterna lagrimosa gioconda aurora d’artiglierie”.