Il Monumento: ai posteri l’ardua sentenza
Giappone, Isola di Yonaguni. Fondali ricchi di vita e di pesci ma soprattutto caratterizzati da un enorme parallelepipedo roccioso (il Monumento per l’appunto) i cui si studiosi si dibattono su 2 teorie: è opera dell’uomo o della natura. Comunque da vedere di Cristiano Peluso
Fra le mete meno frequentate dai subacquei vi è il Giappone, che meriterebbe invece, almeno a parere di chi scrive, ben maggiore considerazione. L’amplissimo arco di latitudine coperto da questo arcipelago consente infatti immersioni sia nelle acque settentrionali, popolate dalla fauna tipica dei mari freddi, sia nelle piccole isole del sud, la cui vita marina è quella dei climi subtropicali.
Fra queste, negli ultimi tempi si è imposta all’attenzione della comunità subacquea l’isola di Yonaguni, appartenente all’arcipelago delle Ryukyu, che nel XV secolo d.C. costituirono un regno con la capitale a Okinawa, che cercò di mantenere buoni rapporti sia con la Cina sia con il Giappone. Nel corso del XVII secolo, un potente feudatario giapponese occupò militarmente le isole ponendole a disposizione del proprio imperatore, il quale tuttavia ricusò di assumerne direttamente il controllo. Ciò avvenne soltanto nel 1879.
Yonaguni può essere raggiunta con un volo di 90 minuti da Okinawa, ha una circonferenza, secondo pubblicazioni del locale ufficio del turismo, di 27,49 km e un’estensione di 28,95 kmq. Sull’isola, che conta una popolazione superiore ai 1500 abitanti, sorgono tre piccoli insediamenti: Sonai (ove ha sede la Municipalità, la caserma della Polizia e quella dei Vigili del Fuoco), Kubura e Higawa. Tratti di costa rocciosa e aspra si alternano a spiagge sabbiose, che orlano placide insenature; il promontorio di Irizaki segna il punto più occidentale dell’intero Giappone ed è indicato da un apposito cippo. L’interno dell’isola è coperto da una folta vegetazione e punteggiato da alcuni rilievi, tra cui spicca la cima del monte Urabu, che si eleva appena a meridione di Sonai. L’allevamento di bovini e di cavalli costituisce la principale risorsa economica.
La guida, come in tutto il Giappone, è a sinistra. Le carte di credito non sono accettate, né esistono banche ove cambiare valuta, ma solo bancomat presso gli uffici postali. E’ indispensabile portare un adattatore per le prese di corrente e schede di memoria per le macchine fotografiche, in quanto tali articoli non sono reperibili sull’isola. Esiste un piccolo ospedale, manca però la camera iperbarica, disponibile a Ishigaki, 450 km a sud di Okinawa.
Da giugno ad agosto la stagione è calda e soleggiata; i venti spirano da meridione e la temperatura dell’acqua raggiunge i 30 gradi. Nella seconda metà di settembre il tempo inizia a guastarsi per l’arrivo delle piogge, ma ancora in ottobre e novembre si mantiene stabile e tendente al bello. In dicembre i venti iniziano a soffiare da nord, a volte con forza e portando pioggia, fino a marzo. La temperatura dell’acqua scende a 24 gradi, quella dell’aria è di norma poco inferiore. In aprile e maggio il tempo è mutevole. In estate la visibilità è ottima, in inverno può talvolta essere limitata.
Il fondale ospita una vita assai ricca: vi crescono diverse specie di coralli, fra cui il corallo corna di cervo (Acropora cervicornis), il corallo frusta (Juncella sp.) e il Porites attenuata, come pure la Montastrea, l’Acropora spathulata e, per i coralli molli, il Sarcophyton. Sono rappresentate tutte e tre le classi di molluschi; particolare risalto assumono, tra i bivalvi, il tridacna e tra i cefalopodi la sepia latimanus.
Per quanto concerne i pesci, è significativa la presenza del Caranx melampygus, un carangide dalla livrea argentea variegato da riflessi blu e del Myripristis vittata, un pesce soldato dai grandi occhi neri e dalla vistosa livrea rossa. Sono altresì rappresentati i pesci balestra e i pesci farfalla, segnatamente il pesce farfalla filamentoso (Chaetodon auriga forsskal) e il pesce farfalla orientale (Chaetodon auripes), bianco e giallo il primo, interamente giallo il secondo. E’ anche frequente imbattersi nel pesce unicorno (Naso unicornis), inconfondibile per il rostro sulla fronte, nell’idolo moresco (Zanclus cornutus) e nell’Heniochus monoceros, dalla livrea gialla arricchita da bande nere e bianche. In aggiunta a questi, nelle acque dell’isola è abituale la frequentazione da parte di tartarughe e di squali di varie specie, oltre che di tonni.
Una delle attrattive di Yonaguni è, per noi subacquei, la “passa” degli squali martello, che avviene dalla fine di dicembre alla fine di aprile. I martello frequentano le acque tropicali come pure quelle temperate, mantenendosi per lo più sulla piattaforma continentale. Nella fase giovanile nuotano in prossimità della costa per poi, divenuti adulti, spingersi verso il mare aperto, salvo riavvicinarsi alla terraferma per predare. Nelle Ryukyu è più comune lo squalo martello maggiore (Sphyrna mokarran), ma è altresì presente il martello smerlato (Sphyrna lewini) e il martello comune (Sphyrna zygaena).
Per vederli conviene rimanere sulla batimetrica dei 15 metri, mentre la guida conduce il gruppo posizionandosi qualche metro più in basso e scrutando intorno. In caso di avvistamento, con la guida sempre in testa, ci si avvicina mantenendosi comunque a rispettosa distanza. I due punti più propizi sono ritenuti Irizaki, sulla costa occidentale, caratterizzato dalla mancanza di fondale (si effettua la discesa e la risalita nel blu) e dall’assenza di qualsiasi punto di riferimento, per cui è indispensabile l’ausilio della bussola, e Umabana, sulla costa settentrionale, una scarpata sommersa della quale si percorre il ciglio, appunto sulla batimetrica dei 15 metri. E’ importante notare come, trattandosi di immersioni invernali, benché la temperatura dell’acqua si mantenga intorno ai 24 gradi ben sotto la batimetrica dei 20 metri, le condizioni meteomarine in superficie possano invece essere inclementi, con onde alte e corrente.
Attorno all’isola è comunque presente un reef assai sviluppato, ingioiellato di coralli e frequentato da pesci tropicali. I punti d’immersione sinora individuati sono oltre sessanta; particolare interesse riveste il sito denominato Double Arches, né deve tacersi quello di Anchor, ambedue sulla costa meridionale. Il primo offre, oltre alla ricchezza e varietà del reef, la possibilità di esplorare alcune grotte a cunicolo, di cui si scorge comunque l’uscita. La più importante dà il nome al sito, in quanto si presenta come una vasta sala sommersa, al cui centro un pilone sostiene la volta creando appunto i due archi.
Anchor ha il fondale roccioso e si trova al centro di un’insenatura ove le navi trovavano riparo dal maltempo. A volte accadeva che le ancore si incattivissero fra i grossi macigni e le rupi che ne costellano il terreno e che perciò dovessero essere abbandonate. La loro forma è singolarmente diversa da quella delle ancore nostrane: risalgono – ipotizzano gli storici – a un periodo compreso fra il XVII e il XVIII secolo d.C. A volte una mareggiata le copre di sabbia e allora la guida le riporta alla luce con l’attenzione riservata alle cose preziose, non disgiunta dall’affetto per i cimeli di famiglia.
Il sito più celebre è senza dubbio Il Monumento, che l’ufficio del turismo designa come Underwater Landscape Resources. Si presenta come una massiccia mole composta di roccia sedimentaria della forma di un parallelepipedo, orientato su un asse est-ovest, a ridosso di una scarpata a strapiombo sul mare, sulla costa meridionale dell’isola. Le sue dimensioni approssimative sono di 250 per 150 metri; la base della struttura giace sulla batimetrica dei 26 metri e si eleva a quote variabili dagli 8 metri (per il punto chiamato Main Terrace) ai 5 metri (The Turtle).
L’immersione ha inizio su un fondale di 16 metri cosparso di grossi macigni; da qui ci si sposterà lungo un avvallamento chiamato Main Road, che conduce al The Gate, una cortina di rocce in cui, a livello del fondale, è praticata un’apertura tale da consentire il passaggio d’un subacqueo per volta. Varcato il Gate e risaliti di quota, troviamo la parete occidentale della struttura (uno dei due lati corti). In questo tratto la roccia è colonizzata da anemoni, spugne e coralli frusta, oltre che da ricci, spesso nascosti tra le fenditure. Intorno nuotano pesci di numerose e diverse specie e non è infrequente la presenza di tartarughe. Qui si ammirano altresì le Twin Rocks, due alti lastroni di roccia ridossati verticalmente alla struttura, separati da un’intercapedine di ampiezza costante.
A questo punto si può scegliere se immergersi per esplorare la parete meridionale (uno dei lati lunghi) e il fondale, oppure se risalire verso la sommità del Monumento. Optando per quest’ultima possibilità, si deve scapolare, mantenendosi in quota, l’angolo di sud ovest, in genere battuto da correnti piuttosto forti. Lasciando scorrere lo sguardo, si notano formazioni rocciose a gradoni che corrono lungo la parete meridionale, a similitudine di ampie scalinate (talune fotografie apparse su internet, offrendo uno scorcio alquanto ristretto del Monumento, danno l’impressione che questo sia una piramide a gradoni, ma non lo è affatto).
Superato l’angolo ci si trova sulla Main Terrace, uno spiazzo assai frequentato dalla vita marina. Sollevando lo sguardo, si ammirerà lo spettacolo dei frangenti che si rompono sulla falesia soprastante e tornano indietro come risacca. Più elevata rispetto alla Main Terrace è la Upper Terrace, da cui si accede agli altri punti d’interesse siti sulla parte sommitale del Monumento.
Procedendo verso est si incontra dapprima un canale (The Channel) assai stretto e profondo, dalle pareti verticali. Alla sinistra del canale si apre la Piscina Triangolare (The Triangle Pool), un bacino capiente ma, almeno all’apparenza, non collegato al canale. In ragione delle già ricordate correnti di risacca, sovente assai forti, è assolutamente sconsigliato separarsi dal gruppo per esplorare da soli la parte sommitale, in quanto il ricongiungimento potrebbe risultare in seguito problematico.
Alla fine del canale, sempre verso est, si nota una roccia ampia e tondeggiante, dal profilo assai schiacciato. Sul limitare orientale del Monumento è inciso un crepaccio, stretto e profondo, che corre in direzione nord-sud e presenta un ambiente più largo verso la parete settentrionale. A causa d’un fenomeno di pareidolia, che porta a scorgere una croce nei chiaroscuri della parete dell’ambiente a settentrione, il crepaccio è denominato The Church. Qui è abituale la presenza d’una abbondante e molteplice vita marina, in quanto il crepaccio offre un eccellente riparo alle correnti che flagellano la sommità.
Poco distante dall’estremità meridionale di The Church, si trova l’elemento più enigmatico dell’intero sito: la figura chiamata The Turtle, giacente a 5 metri. Si tratta di una roccia piatta, grande, di forme geometriche e angoli regolari, che suggerisce la sagoma d’una tartaruga sporgente la testa e le zampe anteriori dal guscio (la parte posteriore della sagoma sembra interrompersi bruscamente o mancare, in quanto si trova proprio sul ciglio del terrazzamento). The Turtle giace su una roccia più ampia, una sorta di basamento in cui, curiosamente, si nota un ampio e profondo incavo in corrispondenza della testa del supposto animale.
E’ altresì interessante rilevare come, nelle favole del Giappone sudoccidentale, la tartaruga marina sia un animale sovrannaturale, in quanto è la forma sotto cui la figlia del Drago del mare, il sovrano dell’oceano, si mostra agli esseri umani. Anche quando non si tratta della figlia del Drago ma di una vera tartaruga, essa è comunque un animale magico, dotato della favella e capace di procurare ingenti fortune a chi si comporti benevolmente nei suoi confronti.
Profonde vallate circondano il Monumento; oltre queste, in un lucore indistinto, appaiono massicci e alti bastioni che celano chissà quali altre meraviglie. A causa delle forti correnti, della visibilità non sempre ottimale e della risacca in superficie, la visita al Monumento è raccomandata a subacquei esperti e ben allenati.
Gli organismi sessili sono numerosi e presenti nelle parti della struttura riparate dalla corrente e nelle fenditure della roccia; scuole di pesci e tartarughe si osservano in prossimità delle Twin Rocks, sulle due terrazze e all’interno di The Church nonché nelle vallate attorno al Monumento, ma sembrano disertarne la parte sommitale.
Questa meraviglia sommersa fu scoperta, per puro caso, da Aratake Kihachiro nel 1986. Lo scopritore, all’epoca giovane proprietario di un diving, stava facendo snorkeling con l’ausilio di una barca appoggio alla ricerca di nuovi siti d’immersione, quando vide delle strane sagome che si delineavano nel blu. Quel giorno la visibilità era buona, ricorda Aratake in un’intervista concessami il 10 marzo 2019, e pur senza giungere ad alcuna conclusione fu forte la suggestione di osservare dall’alto le terrazze di Machu Picchu.
«I primi a immergersi per studiare il ritrovamento furono i membri d’una spedizione scientifica dell’Università di Tokyo, con a capo il professor Teruaki Ishii, il quale in seguito associò alle ricerche il professor Masaaki Kimura, dell’Università delle Ryukyu», prosegue il racconto Aratake.
Controverse sono l’origine e la natura del Monumento. In ambito accademico prevale la tesi che si tratti di una formazione geologica assolutamente naturale, le cui forme geometriche e squadrate sarebbero dovute ai normali processi e alle forze che modellano le rocce. Non manca tuttavia chi asserisce trattarsi d’una formazione rocciosa sì naturale, ma rimodellata dalla mano dell’uomo, adducendo a riprova di quanto sostenuto l’esistenza del Gate, dei massicci gradoni sulla facciata meridionale e delle strutture che si trovano sulla sommità.
Naturalmente, presupposto per un intervento umano sul sito è che questo, almeno per una fase della sua esistenza, si sia trovato all’asciutto. Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, circa 80.000 anni fa ebbe inizio l’ultimo periodo glaciale. Il raffreddamento del clima, intrappolando l’acqua nei ghiacciai montani e nelle calotte polari e quindi sottraendola ai bacini oceanici, determinò in tutto il pianeta un abbassamento del livello dei mari. Secondo gli studi ritenuti al momento più attendibili, quest’ultimo scese di circa 140 metri (prima della glaciazione sarebbe stato poco più alto di quello odierno) e le piattaforme continentali formarono vaste pianure che spinsero assai avanti il profilo delle coste.
Circa 18.000 anni fa iniziò il disgelo e si stima che 6.000 anni fa i mari abbiano raggiunto il livello attuale, benché la rapidità di innalzamento sia ancora oggetto di dibattito presso la comunità scientifica. Le terre che finirono sott’acqua divennero scogliere sommerse o secche; il loro profilo fu modificato dal moto ondoso e dal deposito di sedimenti e il suolo fertile che le ricopriva fu asportato dall’acqua. Altre terre non furono completamente sommerse ma, circondate dal mare, divennero isole.
Quella che abbiano sopra delineato è la situazione geologica, ma qual era lo stato degli insediamenti umani in Giappone? E’ necessario premettere che gli studiosi locali non adoperano la tradizionale partizione della Preistoria in Paleolitico, Mesolitico e Neolitico, ma una suddivisione del tutto differente e basata sui ritrovamenti delle ceramiche locali. Altresì, per quanto riguarda la cronologia assumono convenzionalmente, come inizio dell’era presente, il 1950 d.C.
Si distingue così un periodo Preceramico, che ha inizio con i primi insediamenti umani nell’arcipelago, stimati intorno al 30.000 b.P. (before Present) e che dura sino alla comparsa della ceramica, i cui esemplari più antichi sono ritenuti quelli rinvenuti, nel 1960, nella Fukui Cave a Nagasaki, che si fanno risalire, per mezzo di analisi con il radiocarbonio, al 12.700 b.P.
Dopo tale data si entra nel periodo Jomon, termine che indica la decorazione dei vasi di ceramica ottenuta passando su di essi una cordicella prima di cuocerli in forno. La cultura Jomon è ancora una cultura di cacciatori e di raccoglitori e si stima che, durante questo periodo, la popolazione dell’intero Giappone fosse di circa 120.000 abitanti, benché altri studiosi ritengano abbia oscillato fra 150.000 e 250.000 individui.
Al Jomon fece seguito il periodo Yayoi, dal nome di una località nei pressi di Tokyo ove fu scoperto un importante deposito ceramico, con decorazioni diverse da quelle dell’epoca Jomon. Lo Yayoi durò dal V sec. a.C. al III sec. d.C., e furono introdotti la coltura del riso e l’utilizzo di utensili sia di ferro sia di bronzo. Tuttavia, a differenza della Jomon, la cultura Yayoi non si diffuse nell’intero Giappone, infatti le isole meridionali, fra cui le Ryukyu, ne rimasero escluse.
L’ultimo periodo prima dell’introduzione della scrittura è quello Kofun, che prende nome da una tipologia di tomba a tumulo adottata in tutto l’arcipelago nipponico (III sec. d.C. – VII sec. d.C.), rivestita di pietre e sormontata da una statua di ceramica raffigurante un uomo, un animale o una divinità. Nel V sec. d.C. in Giappone fece la sua comparsa la scrittura, portandoci così fuori dal campo delle mere supposizioni.
Quale che sia la verità, che in ogni caso spetta agli uomini di scienza chiarire, opera della natura o artificio umano, il Monumento rappresenta indubbiamente una meraviglia sommersa che di diritto si inscrive nella già lunga lista delle ragioni che rinnovano il nostro stupore per l’infinita magia dei fondali marini.
Con chi andare
Per immergersi in questi luoghi ci si può rivolgere al diving Sou-Wes (www.yonaguni.jp), il cui titolare è appunto Aratake Kihachiro, scopritore del Monumento. Il diving dispone di un’imbarcazione, la Hino Maru, capace di trasportare dieci subacquei con le relative attrezzature e si avvale della professionalità e della cortesia di numerosi istruttori: Toyo, Marsayuki, Kumi, Saki, Akashi, Atsushi, Kaori, Maru e Shotaro, solo per citare quelli con cui chi scrive ha avuto l’onore di immergersi. Tutti parlano inglese.
Altrettanto elevata è, naturalmente, la competenza del Comandante della Hino Maru e del suo equipaggio.