I 75 anni del KT-12
In occasione di questa ricorrenza (lo scorso 10 di giugno) sono stati organizzati incontri conferenze e immersioni su uno dei relitti più famosi della Sardegna, che giace al largo di Orosei di Claudio Grazioli
Il 10 giugno del 1943 affondava il KT-12 di Orosei a causa di un attacco del sommergibile inglese HSM Safari e per festeggiare Bruce Luche, responsabile dello storico diving Orosei Diving Center, ha pensato di organizzare al meglio la ricorrenza con incontri, conferenze e immersioni. Come rappresentante di Fanatic Wrecker, il gruppo con la passione dei relitti, sono stato invitato per tenere un incontro con tutti i partecipanti e raccontare la storia dell’affondamento, le specifiche della nave, ed alcune curiosità sul progetto. E, per la prima volta, è stato anche proiettato un video con l’intervista ad un marinaio imbarcato sul KT. L’intervista è stata fatta alcuni anni fa da Egidio Trainito che incontrò in Germania l’Ufficiale della Kriegsmarine, realizzando quello che oggi è un documento unico. Un invito, per un subacqueo che ama il ferro e la storia come me, che ovviamente non ho potuto declinare. Così, con un gruppo di amici ho organizzato una scappata in Sardegna nel fine settimana del 9 e 10 giugno.
Comincio con il raccontare una breve cronaca dell’affondamento, perché “un relitto senza la sua storia è solo un cumulo di lamiere”, come diceva Andrea Ghisotti, grande amante di subacque, di relitti e della loro storia.
KT è l’acronimo di Kriegstransporter che significa nave da trasporto militare. I piani di costruzione di queste navi, denominati semplicemente KT, erano un progetto della Deutsche Werft di Amburgo. Nello specifico, il KT-12 di Orosei, insieme al gemmello KT-11 vennero commissionati dalla Kriegsmarine, la Marina da Guerra Tedesca, alle officine O.T.O. di Livorno, e fu consegnata il 19 maggio del 1943. Si trattava di una nave militare da carico a fondo piatto, lunga 68 metri, larga 11 metri, con un dislocamento di circa 700 tonnellate, e un apparato motore di 3 caldaie e 2 motrici alternative. Era ben armata con due cannoncini da 75/40mm, una mitraglia da 37/54mm, due da 20/65mm AA, e due MG-34 da 7,62mm. Era adibita al trasporto di veicoli, carburante, derrate e truppa. Possiamo tranquillamente affermare che questo progetto di nave era un ottimo modello, pensate che un KT navigò e venne utilizzato, dopo la Guerra, sino agli anni settanta. IKriegstransporter furono realizzati da diversi cantieri italiani: Ansaldo di Sestri Levante, Cantieri del Tirreno di Riva Trigoso, Cantieri Navali Riuniti di Ancona; ed esteri (in Germania, Francia, Ungheria, e nella Russia occupata). Ai cantieri furono richieste 62 navi in tutto, ma ne furono completate e destinate al Mediterraneo solo 54. In quel periodo della Guerra, la Marina aveva bisogno di navi da trasporto che si potevano assemblare molto facilmente e velocemente per poter rifornire le proprie truppe al di là del Mediterraneo, in terra d’Africa. Durante il suo primo viaggio, il KT-12 ebbe la sfortuna di incrociare il sommergibile inglese HSM Safari. Gli inglesi direzionarono ben tre siluri verso lo scafo, due finirono sulla sabbia chiara dello spiaggione di Orosei, ma uno colpì perfettamente la nave dietro la prua, spezzandola di netto: la nave affondò tranciata in due, provocando morti e feriti.
Dopo questo excursus, posso ricominciare dalla fine: dalla video-intervista a uno dei marinai imbarcati sulla KT che Bruce Luce ha tradotto dal tedesco e sottotitolato. Un ottimo lavoro che ha catalizzato l’attenzione di tutti i subacquei e ha dato ancora più valore alla manifestazione.
L’affondamento del KT-12
Nel video Jurgen Weinberg, questo il nome dello Zweite Offizier (Secondo Ufficiale), racconta che l’equipaggio del KT-12 prima dell’estate del 1943 soggiornava a Livorno, nell’hotel di fronte alla stazione, per seguire da vicino la costruzione della nave. Per loro stare al mare, in Italia, lontani dalla Guerra era una specie di vacanza. Nel video afferma sorridendo: “Non ci sembrava vero, credevamo di essere in ferie”. A maggio la nave era finalmente pronta. Il KT-12 armato partì dal porto di Livorno per la Maddalena caricato di vettovagliamenti, molti fusti di carburante, munizioni e di due automezzi molto particolari: due antenne radar montati su ruote. Direzione Cagliari, ma con meta finale il nord Africa. Per il KT-12 era il primo viaggio, e fu anche l’ultimo. A mezzogiorno del 10 giugno 1943 la nave si trovava di fronte al centro abitato di Orosei, il mare era calmo e la giornata serena con un bel sole caldo. Il Secondo ufficiale Jurgen Weinberg, imbarcato sul KT, a quell’ora era in mensa, insieme al resto dell’equipaggio e stava consumando il pasto. Si udì un forte boato che scosse violentemente l’intero scafo. Jurgen Weinberg fu scaraventato a terra insieme ai compagni e a tutto ciò che c’era intorno. Immediatamente reagì ed usci dalla sala per raggiungere lo specchio di poppa. Quando fu all’aperto vide la nave navigare ancora, ma l’acqua entrava da prua impossessandosi degli spazi sul ponte perché lo scafo era mozzato e la prua, staccatasi, stava affondando molto velocemente tra alti sbuffi d’acqua. Ormai l’acqua sommergeva gran parte della stiva, e tutto ciò che vi era stivato scivolava velocemente in mare. Weinberg raccontò che si salvò proprio per la sua reazione: la prontezza di spirito gli fece guadagnare rapidamente la murata della nave e si tuffò in mare senza alcuna esitazione, mentre la nave stava iniziando a bruciare in modo uniforme. Indossava il giubbotto di salvataggio, norma che tutti i marinai dovevano rispettare durante la navigazione. Questo lo agevolò nel guadagnare velocemente la superficie e rimanere a galla. Volse lo sguardo in direzione della nave: il KT ferito e morente continuava a navigare ma ora era un rogo unico, il moto era sempre più lento e lo scafo era ancora a galla. Impiegò una quarantina di minuti ad affondare. Il mare tutto intorno allo scafo era in fiamme, e le urla dei marinai si levavano dal fuoco che devastava e consumava tutto. L’ultima immagine del disastro, che racconta Jurgen Weinberg, mi ha colpito profondamente: mentre la nave si stava allontanando, lui vide un uomo ritto sulla murata di poppa, che non aveva il coraggio di gettarsi in mare perché l’acqua era completamente infuocata. Questa fu l’ultima volta che lo vide vivo. La poppa lentamente si alzò e lo scafo entrò in mare, le eliche giravano… Weinberg, ricorda quelle eliche girare, girare vorticosamente e schiaffeggiare la superficie infiammata, gettando acqua e fuoco tutt’intorno. Segno evidente che i motori della sala macchine stavano ancora funzionando. Poi la poppa si alzò ancora e scomparve nell’acqua tra le fiamme.
Ha percorso quasi 600-800 metri senza prua, rovesciando in acqua bidoni di carburante, armamenti, mezzi e uomini. Chi sapeva nuotare e che non era ferito ha raggiunto la riva con le proprie forze, mentre i feriti e gli ustionati sono stati raccolti da una lancia militare. Tutti sono poi stati trasportati nel centro abitato di Orosei con dei camion e successivamente in ospedale a Nuoro. I morti riversi sulla riva o restituiti dal mare, resteranno sulla sabbia per ben quattro giorni. Weinberg fu riportato successivamente a Orosei per la ricostruzione dei fatti, ma non volle andare a rivedere i cadaveri dei suoi commilitoni consumati dal fuoco.
Proprio dal racconto del marinaio superstite, si è scoperto per la prima volta a cosa servivano quei carrelli dotati di ruote riversi sul fondo che sino ad oggi non erano stati identificati. Sembravano delle gru e invece altro non erano che “antenne per misurare le distanze”, come li ha definiti Jungerb Weinberg. Dovevano essere trasportati in Africa per contrastare l’Ottava Armata inglese ed erano dei prototipi di antenne radio, parenti dei radar degli inglesi. Per giorni, il mare restituì i bidoni di carburante del carico. Furono recuperati sulla spiaggia dai locali, tanto che la nave fu soprannominata “la petroliera”. Grazie a queste immagini difficili da dimenticare, e che rivivono negli occhi commossi del marinaio che racconta la tragedia, anche tutti i subacquei che hanno visitato con entusiasmo il relitto ne hanno potuto capire la potenza emotiva, e percepire il lato umano del fatto storico.
L’immersione
Scendiamo sul tronco di poppa, a meno trentaquattro metri. Lo scafo è poggiato sul fondo in posizione di navigazione. Tutto intorno allo scafo ci sono bidoni e detriti, ciò che resta dei mezzi trasportati e fuoriusciti dalle stive al momento dell’affondamento. Sono riversi su di un lato sulla sabbia. L’acqua non è limpidissima a causa del maltempo e della pioggia che ha flagellato l’isola durante le scorse settimane, ma a me pare comunque meravigliosa, abituato ai relitti liguri che spesso sono circondati dal fango. Sotto lo specchio di poppa si possono visitare le due eliche ed il timone. Nuotando in direzione di prua, si incontra quel che resta di un timone di manovra, ormai consumato dal mare, ma ancora riconoscibile. Ma l’attenzione va al cannoncino con la canna che punta verso la superficie e in direzione della poppa. Le “frittate” laterali dell’arma sono ben colonizzate e ricche di animali. A seguire il cofano delle macchine, lateralmente i tubi ritti degli estrattori ed il sostegno del fumaiolo, o quel che ne resta. Sui fianchi sono ben visibili i sostegni delle mitragliatrici, senza le armi, cadute o scomparse a causa dei soliti predoni. Le gruette porta scialuppe sono sul lato sinistro dello scafo, semi abbattute a causa del collasso della struttura sottostante, ma ancora ben visibili. Più avanti le stive, aperte. Purtroppo qualche anno fa l’intera struttura delle cabine e del ponte superiore è collassato schiacciando tutta la struttura sottostante. Il collasso delle strutture è il destino di tutti i relitti e per questo si dice sempre di non entrarci mai. A seguire, sul ponte, dopo le stive, i vericelli e i bighi di carico. Infine il grosso squarcio dovuto all’esplosione del siluro. Ci si può affacciare e vedere qualche bidone qua e là. Masse di strutture informi e accatastate sono un pò ovunque. Sul fondo, appoggiate lateralmente, ci sono i due mezzi che per anni hanno fatto discutere i visitatori di questo relitto.
Classificate come gru per anni, sono state identificate solo dopo l’intervista del marinaio superstite. Erano mobili, trasportabili ovunque grazie alle ruote, e alimentate da un generatore, che giace li accanto. Venivano utilizzate per la misurazione delle distanze, insomma dei radar, o qualche cosa di molto simile, da utilizzare in terra africana.
La prua è visitabile con una seconda immersione alla profondità di meno trentuno metri. Posizionata poco più distante rispetto allo scafo del relitto, a circa 700 metri dalla nave, proprio perché è affondata immediatamente dopo che il siluro l’ha colpita. Graficamente bellissima per chi fa fotografia, con l’àncora ancora nell’occhio di cubia, è anche ricca di abitanti. Una moltitudine di pesci vi trovano rifugio, essendo l’unica struttura rigida in un deserto di sabbia: corvine, gronghi, murene, magnose, cernie, saraghi. Vi ho incontrato anche un enorme astice, per nulla intimorito dalla presenza dei sub. La struttura è avviluppata da un lato, da una rete, e grossi scorfani sono fermi sulle lamiere. Mi ha stupito trovare una enorme cicala a passeggio sulla sabbia. I colori accesi delle spugne incrostanti rendono policrome lo spettacolo delle lamiere ricche di vita. All’improvviso una bella ricciola, di medie dimensioni, arriva e nuota in tondo, incuriosita dai sub, non è una meteora, la rivedremo il giorno successivo. Insomma non vi nascondo che per un fotografo è uno spasso, e per un amante del ferro è la ciliegina sulla torta dell’immersione sul KT.
Bruce gira sulle strutture, molto attento sia alla sicurezza degli ospiti, sia al rispetto delle lamiere. Non vi nascondo che nel sentirlo parlare del KT, traspare l’amore che ha per questo relitto e il suo impegno nel preservarlo ne è la conferma. Mi auguro che le strutture resistano il più a lungo possibile agli agenti esterni, al mare, al sale e soprattutto all’uomo, affinché si possa visitare ancora per molto tempo.
BOX Dal diario di bordo del sommergibile Safari
Ore 11.55 Avvistato un piccolo mercantile di 1200 tonnellate (stima per eccesso) mentre doppia a notevole velocità Capo Comino, diretto verso sud e scortato da un battello che sembra un E-boat (torpediniera motosilurante tedesca).
Ore 12.19 Lanciati 3 siluri da una distanza di 600 yards (circa 550 metri). Uno colpisce il centro della nave. Dopo il lancio come usuale abbiamo evitato ulteriori azioni.
Ore 12.26 Quota periscopio. La sala motori e la poppa della nave bruciano furiosamente. Il carico sembra essere costituito da automezzi e fusti di petrolio. Rottami della barca a galla. Molte piccole deflagrazioni sulla superficie dell’acqua fino a 4 cables di distanza, nel mezzo si può vedere l’E-boat che recupera sopravvissuti coperti d’olio.
Ore 12.30 Rimaniamo in posizione per intervenire con il cannone.
Ore 12.35 L’E-boat si rivela essere una lancia di salvataggio grigia, non armata eccetto due mitragliatrici. Decidiamo di lasciarla al suo compito umanitario. Ci dirigiamo verso il largo per cercare dopo circa 5 miglia la batimetrica di 100 fathom (183 metri).
Ore 12.40 Fuori il periscopio con macchine a mezza forza. Immediatamente il battello di salvataggio inizia a mitragliare.
Ore13.00 La nave affonda nel punto 40.21 N e 09.45 E. Proseguiamo verso sud nel Golfo di Orosei.
Ore 14.15 Un Cant 506B, di colore bianco, arriva sulla baia e lancia alcune bombe a 5 miglia di distanza. (il Cant Z 506 era un trimotore idrovolante, costruito in legno e adibito al bombardamento in mare, probabilmente di stanza ad Olbia).
Ore 22.15 Risaliamo a galla. Proseguiamo verso il largo per ricaricare le batterie.
(Tratto dal libro di Egidio Trainito – Relitti di Sardegna ed. Rizzoli)