La battaglia di Lissa
Il 20 luglio 1866 la Regia Marina Italiana, a poche miglia a nord dell’isola di Vis, in Croazia, affrontò la Kriesmarine dell’impero Austro-Ungarico. E subì una gravissima sconfitta. Il racconto della spedizione organizzata lo scorso mese di ottobre su alcune delle navi affondate: sulla Radetzky e sulla Regia nave Palestro, rispettivamente a 90 e a poco meno di 120 metri di profondità di Edoardo Pavia – foto di Gabriele Paparo
La Battaglia di Lissa ebbe luogo il 20 Luglio del 1866 nelle acque Croate antistanti l’isola di Lissa, oggi Vis. Il mare Adriatico è un mare stretto e lungo che apre le porte ai diversi Paesi che vi si affacciano, da sempre al centro delle mire di coloro che ambivano al controllo di queste terre. Ma perché l’isola di Vis?
L’isola, definita anche la “Chiave dell’Adriatico” o la “Fortezza” ha una posizione strategica, che la rende ambita fin dai tempi antichi. Infatti la sua ubicazione la rende la “Sentinella” ideale. Non è un caso se in passato molti la definirono la Gibilterra adriatica. Dal nome Lissa (dal Greco Issa), ha una superficie di circa 100 chilometri quadrati e una popolazione di quattromila abitanti. Si trova a eguale distanza, circa 200 chilometri, tra Ancona, Bari e Cattaro, l’ingresso nel golfo del Quarnero. Molti storici l’hanno paragonata a una “possente corazzata” che pattuglia instancabile questo strategico tratto del mar Adriatico, con i suoi 17 chilometri di lunghezza e i 7 di larghezza.
L’isola è di origine vulcanica, non ha corsi d’acqua e le precipitazioni sono piuttosto rare; la media è di circa 82 millimetri l’anno. E’ coperta dalla classica macchia Mediterranea. Grazie alla sua morfologia e alle sue alture (che raggiungono i 587 metri del monte Hum), consente una visuale privilegiata sulle isole Incoronate e sulla costa Italiana.
Ma le sue caratteristiche “strategiche” non finiscono qui. Il maggior centro abitato è rappresentato da Porto San Giorgio, oggi Vis, che come vedremo successivamente rappresenta uno degli approdi più sicuri e protetti delle isole Adriatiche. Il secondo agglomerato più popoloso si concentra nella cittadina di Comisa, che si affaccia sulle coste italiane.
Ma chi furono i primi a intuire l’importanza di quest’isola? All’inizio del IV secolo a.C. i Greci di Siracusa, dori di origine, fondarono una loro colonia, dove oggi sorge il capoluogo, chiamandola Issa.
Gli storici mi perdoneranno se non ho ripercorso la storia completa delle dominazioni e delle battaglie chge si sono susseguite nei secoli. Parliamo di Greci, Romani, Barbari, Veneziani, dell’Impero Austroungarico, degli Inglesi, Francesi e, infine, degli italiani.
Come è possibile evincere dalle foto pubblicate, l’ingresso alla baia di Vis rappresenta un approdo protetto da quasi tutti i quadranti, sufficientemente ampio e profondo da poter ospitare un vasto numero di navi da guerra. Inoltre, le fortificazioni erette nel susseguirsi delle occupazioni, hanno progressivamente conferito un’ulteriore sicurezza in caso di attacchi. Fondamentali le batterie costiere erette dagli austriaci, che hanno tenuto a debita distanza la flotta italiana dalla baia di Comisa, durante la battaglia di Lissa.
Dopo la seconda guerra mondiale l’isola è diventata una base militare e, conseguentemente, inaccessibile ai civili salvo alle famiglie dei militari presenti il posto. E questo fino al 1989, motivo per cui oggi è una delle perle più incontaminate e selvagge del mare Adriatico.
La scontro navale dell’isola di Lissa
Questa battaglia coincide con il primo conflitto militare, che vede per la prima volta, nell’ambito delle Marine, un concetto di scontro Europeo; questo perché le forze Austroungariche contemplavano nel proprio organico la rappresentanza di Boemi, Croati, Tedeschi, Ungherese e Italiani. Ma ancor più significativo è il fatto che la Battaglia di Lissa sarà la prima a coinvolgere navi corazzate e l’ultima a utilizzare le tecniche di “speronamento” tipiche di un’epoca ormai al tramonto.
Il 20 luglio 1866 la Regia Marina Italiana, a poche miglia a nord dell’isola di Vis, affrontò la Kriesmarine dell’impero Austro-Ungarico. Nonostante la Regia Marina disponesse di un armamento nettamente superiore, quest’ultima fu sconfitta e riportò pesanti perdite. L’Ammiraglio A. C. Persano, in comando alle forze della Regia Marina, dovette affrontare un processo Militare che lo condannò e successivamente lo espulse dalla Marina.
Persano nacque a Vercelli, in Piemonte, nel 1806, certo non proprio una città di mare se si fa eccezione per il fatto che questa è una delle aree del nostro Paese con la maggior concentrazione di risaie….
Ma a discapito delle sue origine rurali, l’Ammiraglio era un aristocratico piemontese che aveva prestato servizio in mare, distinguendosi al comando di diverse imbarcazioni. Dalle navi da crociera in attraversate transoceaniche ai conflitti militari, guadagnando la fiducia da parte dei vertici della Regia Marina. Tra le imbarcazioni più significative al suo comando, vi è il Daino, piccolo brigantino con cui bombardò nell’Adriatico i forti di Caorle e S. Margherita. Ma la sua buona stella cessò di brillare quando al comando di una corvetta, il Governolo, in un viaggio con a bordo il re, andò a incagliarsi su una secca. Ciò gli costò la sospensione dal comando e il temporaneo allontanamento.
Era entrato in Marina all’età di 17 anni, mentre il suo futuro rivale l’Ammiraglio Wilhelm Tagetthoff, sarebbe nato da li a poco.
Persano fu finalmente riabilitato da Cavour, che lo volle nuovamente in comando, questa volta con il grado di contrammiraglio. Gli fu dato il compito di sorvegliare la spedizione di Garibaldi. Ma il suo vero riscatto avvenne durante la Battaglia di Castefidardo nel 1860, a seguito della Campagna Piemontese nell’Italia centrale. L’esercito del Regno di Sardegna e quello dello Stato Pontificio, si affrontarono. E lo stato Pontificio fu sconfitto. Persano in questa occasione bombardò la città di Ancona, già stremata dall’assedio terrestre e marino. Il comandante delle truppe papali si consegno nelle mani di Persano. Questo gli valse la promozione a viceammiraglio e la più alta onorificenza militare. A conti fatti sembrerebbe una carriera da invidiare, ma così non fu.
La notizia nella Marina non fu presa con entusiasmo. Infatti, la squadra che aveva preso parte allo scontro navale di Ancona, sapeva che la nave ammiraglia si era tenuta a distanza di sicurezza e che la batterie costiere non avevano, per tale ragione, inflitto alcun danno. Per coloro di voi che hanno esperienza dell’andare per mare o lavorare gomito a gomito in mare, fondamentale è l’affiatamento, il lavoro di squadra, la fiducia, la stima. Ma Persano era un uomo che aveva imboccato l’ascesa che lo avrebbe un giorno portato, in battaglia, a governare il destino di molti uomini al suo comando.
Divenne un vero politico e ricoprì la carica di Comandante del Dipartimento di Genova, successivamente eletto deputato e, infine, capo del Dicastero della Marina. Come già citato in precedenza, la notizia non fu affatto accolta con entusiasmo, anzi il generale Alfonso Lamarmora si oppose a tale nomina, però l’allora ministro della Marina riuscì furbescamente a confermare la sua nomina. Persano era anche stato eletto come senatore e ciò consolidò i sui potenti legami con uomini politici.
Il suo avversario, L’ammiraglio Wilhelm Tegethoff nacque il 23 dicembre del 1827 a Marburgo, oggi Maribor, in Slovenia. Figlio di un ufficiale dell’esercito, entra all’accademia della marina militare a Venezia a soli 13 anni, completando i suoi studi a 18. Successivamente Tegetthoff si imbarcò come cadetto su navi da crociere nell’Adriatico e nel Mediterraneo. Ebbe diversi incarichi prestigiosi e si evidenziò in alcuni scontri che lo videro vittorioso. Era noto per essere ”una forza motrice indomabile” in tutto ciò che faceva. Fu inviato in Egitto e nel Mar Rosso per seguire i lavori iniziali del canale di Suez, dall’arciduca Massimiliano. Navigò anche con piccole imbarcazioni sul Nilo, dove però fu rapito e successivamente rilasciato dai pirati arabi, ai quali fu corrisposto un riscatto. Appena liberato, Tegettholff rientrò a Vienna.
A soli 34 anni, su proposta dall’arciduca Massimiliano, fu promosso al grado di capitano di fregata. Si distinse nella guerra danese-prussiana, quando mosse con la sua squadra nel mare del nord. Grazie a una schiacciante vittoria che lo portò sin nel cuore di Amburgo, gli fu conferito il grado di contrammiraglio. Egli era non solo ben visto dai suoi superiori, ma estremamente apprezzato dagli ufficiali e dalla truppa. Purtroppo, come spesso succede, questo dinamismo disturbava quei vertici militari che vedevano in lui un uomo forte e apprezzato dai propri ufficiali. Di conseguenza fu inviato a Trieste e successivamente a Pola, esattamente nel 1865.
La Battaglia
Le forze navali italiane erano composte da 12 corazzate (placche di rivestimento metalliche) e 17 navi di legno. Tra queste unità troviamo l’Affondatore da 4376 tonnelleate, la Re d’Italia e la Re di Portogallo da 5700 tonnellate e le fregate Ancona, Maria Pia, Castefidardo e S. Marino da 4500 tonnellate, così come la Principe di Carignano da 4000tonnellate e le corvette Terribile e Formidabile da 2700t onnellate. Infine, troviamo le cannoniere Palestro e Varese da 2000 tonnellate.
Per quanto riguarda le forze Austro-Ungariche, la flotta era composta da 7 navi corazzate e 11 navi in legno. Le più grandi e temute erano la Kaiser da 5200 tonnellate, le fregate Ferdinand Max e Hasburg da 5100tonnellate, seguite dalle corazzate da 3600 tonnellate, Kaiser Max, Prinz Eugene and Don Juan d’Austria. Infine, troviamo le fregate corazzate Drache, Salamander da 3000tonnellate e le fregate in legno Novara, Furst Felix, Schwarzembergeg, Adria and Radetzky da 2500 tonnellate.
Due uomini, due diverse filosofie e soprattutto un diverso atteggiamento nei confronti della battaglia. Persano aveva avuto ordini di ristabilire un controllo sull’Adriatico, attaccando e affondando il nemico ovunque si trovasse, possibilmente risparmiando Trieste e Venezia, salvo la presenza di naviglio nemico, nel qual caso le città non sarebbero state risparmiate.
Diverse le istruzioni per l’ammiraglio Tegetthoff. Il comando delle operazioni belliche aveva dato ordine di attaccare il nemico e di infliggere il maggior danno possibile. Ciò premesso gli fu anche ordinato di evitare uno scontro frontale con la flotta italiana, superiore nel numero di unità e nella potenza di fuoco, adottando un comportamento più difensivo che offensivo, evitando di attaccare il nemico.
Depetris convocò presso il Comando supremo i capi di Stato Maggiore e riferì sulle operazioni ad Ancona. Il convegno presieduto dal Re Vittorio Emanuele II, incaricò il Generale La Marmora di comunicare in una lettera (recapitata personalmente a Persano) di procedere a un’azione militare a seguito della grave crisi politica del paese. Era indispensabile ottenere dei successi e intraprendere “azioni energiche”. A tal proposito si ordinò la conquista e la presa dell’isola di Lissa.
Ma perché venne “ridotta” l’ambizione espressa negli arditi progetti iniziali di raggiungere le coste Istriane e di assediare il protetto porto di Pola affondando le navi al suo interno? Il Comando Italiano stimava una difesa dell’isola non impossibile, e in virtù del soprannome della Gibilterra dell’Adriatico fu evidente la necessità di assicurarsi quella rocca, dotata di un porto principale molto protetto, da fortificazioni e avanposti costieri di comprovata resistenza ed efficacia. I vertici del paese si reso conto che l’auspicata progressione verso nord, avrebbe dovuto essere compiuta in un tempo maggiore. Ciò premesso l’ammiraglio Persano ricevette l’ordine di muovere immediatamente alla volta del suo nuovo obbiettivo, Vis, garentendosi rapidamente la conquista della stessa.
Persano, diversamente da Tegetthoff, ebbe ordini più specifici, iniziando dall’annientamento delle forze presenti sull’isola, previo bombardamento e successivo sbarco, garantendone il controllo. Tale operazione se condotta alle prime luci dell’alba e in maniera sincrona. Con le tre diverse squadre, avrebbe probabilmente sorpreso il nemico, aumentandone le probabilità di successo. Ma quando il 16 luglio 1866 la flotta italiana prese il mare, con le tre squadre, la prima al comando di Persano composta dalle sette più potenti e recenti corazzate, la seconda, ausiliaria, al comando di Albini, composta da navi di legno, e infine la terza al comando di Vacca, composta dalla Principe di Carignano e da altre quattro corazzate minori, preposte all’assedio e al cannoneggiamento costiero, aveva già perso l’effetto sorpresa.
La flotta, infatti, lascio il porto di Ancona alle 15 e arrivò nei pressi dell’isola solo alle prime luci dell’alba del 17 luglio e al posto di sfruttare questa condizione di vantaggio, attaccando di sorpresa il nemico, non fece altro che navigare in bella vista davanti alla costa dell’isola, mandando alcune squadre in ricognizione, quasi a voler comunicare la propria presenza.
Lo stesso giorno convocò i capi squadra e diede i piani d’azione e d’attacco. Mandò un’unità battente bandiera inglese in perlustrazione prima nel porto di Comisa e successivamente di Lissa, e a seguito del rapporto del capitano di corvetta D’Amico di rientro dalla missione, che parzialmente ingannò i nemici, Persano decise di apporre delle modifiche ai piani d’attacco, decidendo che l’offensiva sarebbe avvenuta il 18 luglio. Dal canto suo l’ingresso della nave battente bandiera inglese, fu trasmesso al comando di Pola e ben presto fu chiaro che ingenti forze navali Italiane stavano per attaccare Vis. Tegetthoff comunicò le seguenti parole: “Resistere! Arrivano i rinforzi!”.
Nel frattempo Persano indicò i nuovi obiettivi: il capitano Vacca, con la sua squadra d’attacco, doveva cannoneggiare il porto di Comisa, mentre Persano si incaricò dell’attacco al porto di S. Giorgio e infine il viceammiraglio Albini avrebbe dovuto sbarcare a Porto Manego.
Il mattino del 18 luglio Persano convocò nuovamente i comandanti all’ora prevista per l’attacco. Fu un inutile spreco di tempo e non giovò alla flotta italiana; finalmente alle 10.30 l’attacco ebbe inizio sotto un sole cocente. Alla stessa ora un telegramma fu inviato ai vertici militari Austriaci: “La flotta italiana sta attaccando Lissa”; Tegetthoff alla stessa ora mosse alla volta del nemico. L’assedio non ebbe l’esito sperato, il capitano Vacca, nonostante la potenza di fuoco a disposizione, incontrò non poche difficoltà ad avere ragione delle batterie costiere di Comisa, che posizionate sulle alture e protette dalla morfologia di roccia a picco sul mare, risultavano difficili da colpire dal tiro dei cannoni, che non disponevano di “un’alzata” sufficiente. Nonostante ciò e la strenua resistenza da parte delle forze nemiche di terra, verso le 18 su tutte le batterie costiere calò il silenzio. Lissa aspettava di essere conquistata: le condizioni per uno sbarco senza gravi rischi erano finalmente possibili.
Persano decise diversamente, ritirarandosi in mare aperto per far riposare i propri uomini. Vosì l’occasione di un fulmineo sbarco sfumò. Le operazioni ripresero il mattino del 19 luglio e finalmente il tanto atteso Affondatore arrivò, così come altre unità minori che si unirono alla flotta, portando ulteriori uomini da aggiungere al contingente per lo sbarco, raggioungendo in totale i 2200 uomini.
La giornata del 19 vide il progressivo cannoneggiamento delle batterie di porto S. Giorgio, che nonostante le perdite durante la notte si erano nuovamente organizzate per resistere. Fu tentato uno sbarco, ma le residue forze di terra e il progressivo peggioramento delle condizioni meteo, posero fine al tentativo di sbarco per la giornata. Persano decise di interrrompere le operazioni e soddisfatto dei risultati dei primi due giorni di battaglia, si posizionò in mare aperto, allontanandosi dalle pericolose scogliere che, a causa del peggioramento delle condizioni meteo, rappresentavano un serio pericolo. Lo sbarco sarebbe avvenuto il giorno seguente.
A mandare all’aria i piani di Persano fu l’arrivo della notizia inviata dall’Esploratore, che comunicò il seguente messaggio: “Navi sospette in vista da ponente-maestro”. Le avverse condizioni meteo, sotto un forte mare di scirocco accompagnate da foschia e rovesci, fecero il resto. Alle 7,30 del 20 luglio la flotta Austro-Ungarica, in un cielo grigio, apparve minacciosa.
Lo Scontro
Alle 10.30 Tagetthoff ordinò alla sua flotta di procedere a tutta forza e di “colpire e affondare il nemico”. La sua tattica era quella di attaccare compatti, con una disposizione a cuneo. Riuscì a infilarsi tra le navi italiane e dalle Ferdinand Max, alle 11.15, sparando un colpo di artiglieria da una distanza di 700 metri colpì la Re d’Italia al timone, immobilizandola; il destino della nave era segnato.
La Fredinand Max mosse a tutta forza verso di lei, con l’obiettivo di speronarla. E così avvenne alle 11.30. Il rostro della Ferdinand Max penetrò per un paio di metri nello scafo. Nonostante ciò i marinai della Re d’Italia continuarono a sparare, infliggendo gravi perdite tra i marinai austriaci. Mentre la nave affondava, due marinai corsero ad ammainare la bandiera italiana, sino a quel momento considerata dagli austriaci, impropriamente, la nave ammiraglia. Infatti, Persano si era trasferito sulla più potente Affondatore, ma la bandiera dell’ammiragliato era rimasta sulla Re d’Italia. Tutte le fonti concordano nel descrivere il coraggio e la determinazione dei marinai italiani nel difendere la bandiera e l’onore, continuando a combattere mentre la loro nave si stava inabissando.
Dei 600 marinai che componevano l’equipaggio, 371 morirono tra le onde; tra di essi lo stesso comandante Faà di Bruno che fu visto inabissarsi ancora in piedi sul ponte di coperta mentre impartiva ordini ai sui uomini. Al comandante Faà verrà concessa la medaglia d’oro alla memoria.
Il conflitto stava volgendo al termine, i danni al naviglio di entrambe le forze furono considerevoli.
Verso le 13 le due flotte si trovavano a una distanza di circa 4 o 5 miglia l’una dall’altra. Fu a questo punto che ci si accorse che la Palestro era interamente avvolta dalle fiamme. Più volte durante il conflitto alcune unità si erano avvicinate alla Palestro per prestare aiuto, vedendo alcuni incendi a bordo. Il comandante della Palestro, il livornese Cappellini, aveva spostato del carbone in coperta per ridistribuire i pesi a bordo e nonostante avesse comunicato che da lì a breve avrebbe allagato i locali del carbone, l’esplosione che seguì (verso le 14.30) probabilmente dimostrò che Cappellini non aveva alcuna intenzione di ritirarsi dal combattimento. La potenza della defraglazione confermò che la santa barbara della Palestro era stata raggiunta dal fuoco.
La Palestro si inabissò con il suo Comandante Cappellini e altri 225 uomini. Cappellini aveva allora 38 anni e anche a lui venne conferita la medaglia d’oro alla memoria. La battaglia era conclusa, i cannoni fumanti cessaro di sputare fuoco, il silenzio rumoroso della fine della battaglia scivolò tra le onde del mare Adritico. Gli Austriaci avevano vinto contro le più potenti forze navali italiane: la Battaglia di Lissa era conclusa.
La spedizione subacquea
Il 12 giugno del 2018 ho avuto la possibilità di partecipare in qualità di relatore, a seguito della sponsorizzazione di Fabio Roberti, al convegno intitolato: “Illustrious Aegean Lost”, organizzato da Danube Transnational Programme, a Zara, in Croazia. Nella stessa occasione ho avuto l’opportunità di conoscere Drazen Goricki, istruttore e operatore nel settore subacqueo in Croazia, che è stato uno degli scopritori e identificatori della Re d’Italia, della Palestro e della Radetzky. Drazen, uomo dall’ampio sorriso e dai modi educati, dopo una breve presentazione mi propose di partecipare alla prossima spedizione su questi relitti, in programma per la fine di settembre e la prima decade di ottobre scorsi.
Non mi sembrava vero. Questi relitti erano da tempo nei miei sogni e desideri e ora mi si prospettava la reale possibilità di visitarli. Il team era composto da membri appartenenti a diversi paesi europei, il che sarebbe stato un altro degli incentivi a partecipare. Fu così che carico di entusiasmo chiamai subito l’amico Gabriele Paparo, che certo non ha bisogno di presentazioni visto il costante contributo che ha profuso per la crescita in sicurezza del nostro amato sport. Uomo sempre sorridente, solido e forte, come la sua determinazione e amicizia. Dopo qualche mio breve accenno agli obiettivi della spedizione e alle relative date, mi confermò entusiasta la sua partecipazione. Gabriele ha consentito la documentazione fotografica e video dei relitti esplorati e, cosa non certo secondaria, la condivisione della pianificazione dei protocolli d’immersione per questa impegnativa missione.
Raggiungiamo Ancona e ci imbarchiamo sul traghetto per Spalato. Dopo una breve sosta bighellonando tra le splendide vie della città vecchia, saliamo sul traghetto per Vis. Il resto del team sarebbe arrivato sull’isola ognuno con mezzi e tempi diversi. Fata base in un confortevole e conveniente appartamento, equipaggiato con tutti i comfort e servizi, tra cui uno spazio esterno interamente dedicato alle attrezzature subacquee, ci siamo dedicati all’esplorazione dell’isola e delle sue bellezze; le operazioni sarebbero iniziate un paio di giorni dopop. Ed è proprio durante le nostre “attraversate” in furgone in lungo e in largo che ci rendemmo conto che altri amici italiani e svizzeri erano casulmente sull’isola per immergersi su altri splendidi siti d’immersione.
Il 29 ottobre, finalmente, facciamo conoscenza dell’intero team, composta da Croati, Montenegrini, Tedeschi, Austriaci, Portghesi, Belgi e Italiani. Il morale è alto e alla prima cena si delineano le strategie, la composizione delle squadre e dei protocolli di sicurezza. Purtoppo però è anche la sede in cui il capo spedizione Drazen ci informa che il ministero della Soprintendenza Archeologica Croata ha ritirato il permesso per compiere le immersioni sulla Re d’Italia. La notizia scuote gli umori del gruppo, ma la comunicazione ci regala un’alternativa: la possibilità di immergersi sulla Radetsky, una delle navi della flotta Austro-Ungarica presente al conflitto di Lissa.
Anche quest’ultimo vascello si trova non lontano dalla posizione della Palestro e della Re d’Italia. L’affondamento avvenne, però, il 20 febbraio del 1869, circa 3 anni dopo il confronto con la flotta italiana nelle acque antistanti l’isola di Lissa. Il destino beffardo fece affondare la Radetsky in seguito a un’inaspettata esplosione del deposito di munizioni, a circa 10 miglia a nord-ovest dell’isola di Vis, trascinando negli abissi 22 ufficiali e 323 uomini di equipaggio. Ironicamente, il suo triste destino è profondamente legato a quello della Battaglia di Lissa. Infatti la Re d’Italia e la Palestro condividono lo stesso fondale marino, separate solo da poche miglia.
Le prime immersioni vedono Gabriele e il sottoscritto intenti a calibrare e verificare le nostre attrezzature. Per questo decidiamo di scendere sullo splendido relitto del bombardiere B17, a una profondità di circa 70 metri. La barca ci trasporta sulla verticale del relitto e sucessivamente, essendo l’aereo prossimo all’ingresso della baia di Rucavak, concertiamo di rientrare al traino dei nostri scooter all’interno della baia, smaltendo progressivamente la deco accumulata.
Per queste immersioni ho deciso di utilizzare per la prima volta 2 rebreather elettronici automiscelanti, con lo scopo di ridurre il numero di bailout, indispensabili allo svolgimento di tuffi a quote superiori ai 100 metri. A tal proposito ho selezionato come apparecchio primario sulle spalle l’ECCR Liberty della Divesoft, con sacchi polmone posteriori e l’ECCR sidemount Liberty, sempre della Divesoft. Questa scelta è stata il frutto di ponderate riflessioni. Vediamole nel dettaglio.
Intanto la necessità di avere due apparecchiature molto simili per quanto concerne la gestione dell’elettronica di controllo; in questo caso è esattamente la stessa. Avere un rebreather da fianco in “Autocontenimento”, cioè una macchina da fianco, comprensiva di bombole di alimentazione e di tutto ciò che costituisce un rebreather, in modo da poterla indossare, rimuovere ed eventualmente cedere, in caso d’emergenza, al mio compagno. In passato ho fatto uso di altri apparecchi da fianco, ma nessuno mi ha mai soddisfatto. Infatti, alcuni avevano la forma di una bombola tipo S80, ma l’alimentazione dei gas era sempre delegata a bombole esterne, quindi di difficile (se non impossibile) cessione a terzi in caso di emergenza. Un altro elemento fondamentale è costituito dal WOB (Work of Breathing) che, in queste immersioni, è fondamentale. Mantenere cioè lo sforzo ventilatorio il più basso possibile: in questo il Liberty SM garantisce tale caratteristica. Ultima ragione, ma non certo meno importante, è l’innovativo software decompressivo e della relativa gestione del setpoint, di cui la macchina è dotata. L’EECR Liberty SM ha diverse configurazioni con cui si può iniziare o proseguire un’immersione. Infatti la macchina prevede le seguenti configurazioni: Immersione in modalità ECCR. Immersione in CA, mantenimento e monitoraggio PO2 disabilitato. Immersione MCCR (gestione meccanica) tutte le funzioni macchina sono attive, ma i due solenoidi di cui la macchina dispone sono disabilitati, l’operatore deve mantenere manualmente la PO2. Ultimo possibilità BOECCR (BailOut ECCR), modalità rebreather di Bailout (emergenza). In questa modalità la macchina mantiene elettronicamente un setpoint basso, con valori di PO2 selezionabili a piacere, mentre in termini di calcolo decompressivo la macchina sviluppa il profilo decompressivo basandosi sul setpoint Alto da voi scelto, che, se mantenuto realmente, renderebbe la macchina molto difficile da gestire in immersione, soprattutto durante la fase di risalita, a causa della staticità dei gas al suo interno. Ovviamente il setpoint Alto della macchina “primaria” e quello della macchina da fianco/emergenza, devono essere uguali, per consentire un rapido passaggio da un sistema a un altro senza ulteriori preoccupazioni legate al monitoraggio deco.
Quindi, al fine di consentire la compatibilità d’impiego di due rebreather, rendendo il più semplice possibile tale impiego, se così si può dire, la scelta non poteva che cadere su questo tipo di apparecchi. Il rebreather “dormiente” deve essere allineato in termini decompressivi a quello primario, senza creare problemi di gestione durante tutte le fasi del tuffo.
Il primo test in immersione di questa configurazione, conferma la bontà dei prodotti e la semplicità di utilizzo. E’ però necessario sottolineare che l’utilizzo di due rebreather aumenta grandemente la possibilità di commettere errori nella preparazione dell’attrezzatura, nell’uso in immersione e nelle operazioni post immersione, quindi chiunque desideri avvicinarsi a questo tipo di configurazione deve essere pronto a seguire protocolli di lavoro molto rigidi. Non ultimo, deve monitorare un numero maggiore di informazioni. I vantaggi ovviamente sono una configurazione più leggera, una disponibilità di gas d’emergenza difficilmente eguagliabile in CA, soprattutto nelle immersioni profonde in acque libere e in presenza di lunghi tempi di decompressione. Inoltre, in caso di emergenza, tale apparecchio può essere condiviso con il compagno, ovviamente previa conoscenza del prodotto e delle sue caratteristiche.
Durante questa spedizione siamo scesi sulla Radetzky e sulla Regia nave Palestro. E’ importante ricordare le quote di queste immersioni: Radetzky, 90 metri, Regia nave Palestro, poco meno di 120 metri. Con tempi di fondo compresi tra i 20 e 25 minuti. A causa delle avverse condizioni meteo, abbiamo avuto la possibilità di ripiegare su relitti della seconda guerra mondiale in zone ridossate, che rappresentano la varietà di navi disponibili sui vari versanti dell’isola.
Il bilancio potrebbe sembrare modesto, ma visto il periodo dell’anno, il mese di ottobre, e l’imprevedibilità in generale del meteo in questo periodo, siamo riusciti a effettuare le immersioni che ci eravamo prefissiati.
Un grazie sincero e sentito va al mio compagno Gabriele Paparo, amico e subacqueo dalle doti non comuni e istruttore di grande esperienza, per l’immenso lavoro di documentazione fotografica e video di questa spedizione. Un altro grazie va all’amico Drazen per aver organizzato questa spedizione e per averci invitato a farne parte. Ringrazio infine le autorità Croate e in particolar modo il Ministero della Sopraintendenza Archeleogica Croata, per l’ospitalità, la fiducia e il supporto messo a nostra disposizione.